06-05-2024
LETTERA ALLA SCUOLA, il libro.
Dalla scuola di Barbiana al registro elettronico.
In questo libro si parla di scuola e la scuola, in questo libro, ci parla. In Lettera alla scuola, Christian Raimo con i suoi allievi, ( in dialettica relazione con Lettere a una professoressa, di don Lorenzo Milani e la scuola di Barbiana ), quello che emerge chiaro è che la scuola non è un concetto, un entità teorica. La scuola ha la voce di chi la abita giorno per giorno. La scuola è un diritto e un dovere, la scuola è un groviglio di emozioni e di opportunità, la scuola è un trampolino per la vita e, a volte, un baratro, una stretta al cuore, un senso di ingiustizia, una grande rabbia e un vuoto sconfinato. Il libro ci racconta la scuola come un′occasione, fatta di piccole molte occasioni (alcune, purtroppo, mancate) di conoscenza, di confronto, di esperienza di crescita. Passando così tanto tempo tra di noi dicono i ragazzi, nel libro sia in classe che fuori, e crescendo di fatto insieme, ci rendiamo conto che la classe oltre che un ambiente può essere una comunità di apprendimento in tanti sensi. Non solo perché studiamo le stesse cose, ma anche perché, stando insieme scopriamo, conosciamo, ragioniamo sulle stesse questioni come se avessimo, per certi versi, una coscienza collettiva. La voce dei ragazzi affronta molti aspetti e sottopone al lettore altrettante, ardue, domande: Le bocciature sono utili o controproducenti? Sono un invito all′abbandono o l′opportunità per colmare le proprie lacune in ragione di una solida ripartenza? Il sistema di valutazione deve essere omologato su una media o tarato su ciascun allievo in ragione della sua individualità, delle difficoltà, delle potenzialità che è in grado di esprimere? E ancora: Chi è davvero responsabile degli abbandoni scolastici? I ragazzi, svogliati e passivi, o il sistema scolastico che, senza entrare in personalismi, favorisce di fatto chi può contare su un contesto familiare più solido, che integra (a suon di lezioni private) e sostiene e incoraggia? Uno dei termini che più ricorre nelle testimonianze dei ragazzi è : ansia. Ansia da stress, un′ansia che livella il resto dei sentimenti, delle emozioni che si provano in classe: l′educazione al sapere viene ridotta a una sorta di stress test lungo anni da cui uscire indenni. La morsa della scuola e il suo votocentrismo. Il danno maggiore produce - continua il libro - ci sembra essere la delegittimazione dell′insegnamento e dell′apprendimento come forme di conoscenza del mondo e dell′altro. Noi studenti spesso ci sentiamo di essere valutati ancora prima che visti, e al tempo stesso facciamo fatica a riconosce l′interesse per lo studiose abbiamo una passione, questa viene schiacciata sulla sua dimensione strumentale. Quanto vale, quanto la misuriamo? A farla da padrona, al posto della lavagna elettronica, è il registro elettronico un dispositivo completamente sincronizzato su quel modello che produce ansia, in cui i voti possono essere visualizzati in tempo reale alle famiglie. Leggendo queste pagine ciò che colpisce di più è il convitato di pietra, la new entry, il nuovo, potentissimo protagonista della scuola: la famiglia. La scuola non è più davvero un luogo pubblico, un luogo nel quale si persegue il bene dei ragazzi come cittadini e futuri attori di una vita politica e sociale all′interno della propria nazione, ma una sorta di estensione, di succursale, della famiglia. In una scuola sempre più povera e bisognosa, la risorsa più importante è il numero di iscritti, che varia a seconda del gradimento, dell′appetibilità. La famiglia è l′utenza. La famiglia è, in un certo senso, lo spettatore a favore del quale si celebra lo spettacolino dei risultati, delle valutazioni. . E allora, di fronte a questo, la scuola piega la schiena e dice: Serva vostra. I genitori sono soddisfatti quando il figlio vince, sono insoddisfatti quando il figlio perde. È nell′ordine delle cose. Ma i figli? Questi figli, il cui bene si palleggia tra scuola e famiglia, come stanno? A leggere il libro non sembra stiano benissimo. Forse sarebbe importante, pensiamo, abbandonare il controllo assoluto, e assumersi delle responsabilità. Chi insegna, si assuma la responsabilità di insegnare (e solo in un secondo momento, quella, meno sostanziale, di giudicare), e chi apprende, si assuma la responsabilità di capire che, a uno sforzo, non corrisponde necessariamente un successo, ma che un successo non si ottiene mai, e poi mai, senza uno sforzo. Sembrano considerazioni stupide o banali, ma non sono. Nell′era delle madri che, quando parlano delle interrogazioni dei figli, usano la seconda persona plurale.