LA SALA PROFESSORI, il film
quando il giusto e l′ingiusto diventano inestricabili
Lei è la professoressa Carla, da subito capiamo che è giovane e anche molto bella, pochi minuti dopo possiamo dire di lei che è anche brava. Appena Carla entra in classe, batte le mani, le mani dei suoi alunni battono in risposta: le mani battute creano l’incantesimo della complicità e della collaborazione: lo swing, che solo i professori più dotati e sensibili sanno regalare alla propria classe.
Questa giovane professoressa insegna matematica, i suoi allievi sono attivi, partecipano, si danno da fare, cercano risposte, si pongono domande. Sono ancora solo dei ragazzini, ma lei li tratta con serietà e rispetto: non li imbocca, non li ingozza di assunti e verità, al contrario, esige che si assicurino, prima di asserire la verità di un enunciato, che esso sia dimostrabile.
Questa giovane professoressa ci sta da subito molto simpatica: è intelligente, sensibile e leale.
Ma avvertiamo che qualcosa sta per andare storto.
C’è stato un furto, anzi, più di uno. In questa scuola modello, qualcuno ruba.
La scuola è a tolleranza zero: Il colpevole viene cercato e trovato.
Un colpevole, afferma la legge, deve pagare.
È giusto che sia così, lo pensiamo anche noi.
Ma chi paga non sempre coincide con chi ha colpa, e la colpa stessa, a volte, ha una natura proteiforme e subdola: muta sotto gli occhi di chi la immagina immobile, ferma, inconfutabile.
Un furto è un furto.
Un ladro è chi ha sbagliato e va punito.
Ma un figlio è un figlio.
E il figlio di un ladro certo non smetterà di amare chi lo chiama figlio.
Le cose si complicano terribilmente.
La verità è un’arma a doppio taglio, anzi, a molti tagli, e va maneggiata con cura, perché può fare, a volte, molto danno.
Cosa farsene, professoressa, di questa inconfutabile verità che, appena pronunciata, invece di contribuire a risolvere i problemi, li eleva al quadrato, e poi al cubo?
“Chi ruba è colpevole, chi è colpevole deve pagare” afferma la definizione.
Ma la logica matematica non basta, a spiegare la vita umana.
La vita umana va indagata con i parametri della complessità, della pazienza, della attenta riflessione.
Se il colpevole è legato stretto a un innocente, la logica fallisce: saranno in due a pagare.
Succede quindi che, nel tentativo di essere giusta, la bella professoressa, entra in un labirinto spaventoso, pieno di trabocchetti e passi falsi e con, al centro, un mostro.
Il mostro è il dubbio.
Che il giusto sia sbagliato, che tutto sia troppo complicato.
Noi sappiamo che educare, significa coerenza, e significa, a volte, riconoscere il proprio errore. Anche quando l’errore puntava, in piena coscienza, nella giusta direzione.
A volte la scelta giusta consiste piuttosto nel non essere, che nell’essere qualcosa.
Non essere i più buoni, i più bravi, i più stimati. Restare piuttosto in ascolto, disponibili, allenati a non capire tutto.
Assumersi, di fronte a un crollo, la responsabilità di non cercare rimedio, di restare fermi, con gli occhi aperti, sul baratro dell’incertezza.
E poi, per uscire dal labirinto, non resta che posare la bilancia e la piuma, scegliere, tra le strade, non la più breve, la più sottile: sedersi accanto al mostro e guardarlo dormire, aspettare con pazienza, che il tempo passi, che la vita, si aggiusti.