LA NOIA
Cosa ci dice la canzone che ha vinto San Remo?
Questa canzone ha vinto San Remo, è stata scritta da Angelina Mango e da Madame, entrambe poco più che ventenni. Ascoltiamo le loro parole, accogliamo, con attenzione, quello che hanno da dirci, per capirle, per capire questa loro generazione.
Il titolo parla di noia, ma si tratta di una noia non subita, non paralizzante: è piuttosto una noia ospitale, che si trasforma in ritmo che invita a ballare.
La Cumbia della noia si trasforma gradualmente in Cumbia della gioia.
Una gioia che nasce appunto dal non esigere di essere altro da ciò che si è.
La noia sta dentro la vita. In questa vita dove si “muore senza morire”, si trascorre il tempo in” giorni usati” da altri, consumati da altri, che forse hanno già stabilito molte cose, ma ancora non tutto.
Cosa si può fare, dunque?
Da dove si può cominciare a diventare se stessi, in un mondo dove le istruzioni per l’uso sono già state scritte e prescritte da chi ci ha preceduto?
Affermando qualcosa di sé, nel tempo della vita, senza dannarsi a “vivere senza soffrire”, soffrendoci dentro, ma senza tragedia.
La Cumbia richiede abbandono, resa, ma la resa di cui sembra parlarci la canzone evoca piuttosto una forma di ribellione: “perché soffrire fa le gioie più grandi, non ci resta che ridere in queste notti bruciate” e ancora: “Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa” ci dice, e dunque non c’è rassegnazione ma invece un assecondare ciò che opprime, ciò che annienta, per generare infine una vera e propria catarsi: “Quindi faccio una festa, faccio una festa!” – dice ancora la canzone. Di che festa ci parla? È una festa che disattende le aspettative più cupe e giudicanti di chi crede di avere già capito tutto e di conoscere le regole di tutti i giochi: “Vorrei dirgli che sto bene ma poi mi guardano male”, una festa che si svincola dal ruolo di “ragazzina incasinata e con i traumi” ed esplode in una liberazione “total”, libera dai drammi!
Fa pensare alla danza liberatoria che cura dal morso della tarantola, che libera dal suo scuro veleno. È una danza che purifica e solleva, che scioglie il dolore e suggerisce una strada inedita, mai percorsa, ricca di vitalità solare e contagiosa, che scatena il corpo e lo perdona dei suoi limiti. La noia è una canzone sull’auto accettazione e sull’accettazione della realtà per quella che è. Sembra dirci, tra le note, che la vita ha per tutti una sua alternativa possibile: quella offerta dall’amore per se stessi, per ciò che si è, nel bene e nel male, senza vergogna:
“mi hanno detto che la vita è preziosa
Io la indosso a testa alta sul collo”.
Come una corona di spine, ma anche come una cicatrice preziosa, riportata nella lotta contro chi “in ogni cosa vede il male”.
Una canzone che celebra il tempo dello stare al mondo,
senza sentirsi sempre fuori posto,
senza sentirsi sbagliati ad ogni costo.
Buona vita, allora, a chi oggi ha vent’anni e, con orgoglio, se li sa danzare!